La location

E’ il più vasto fra i conventi di Caltagirone e culturalmente fu tra i più impegnati. La sua fondazione si fa risalire al 1236 e alla figura del Beato Riccardo da Caltagirone, ritenuto uno dei primi seguaci di San Francesco, celebre per aver operato numerose guarigioni in vita e dopo la morte. Il complesso sorge in una posizione amena e dominante, alla sommità di una delle colline della città. Con una immagine cara alla storiografia francescana si potrebbe paragonare questa comunità ad un fecondo giardino, in cui fiorirono gemme odorose per cultura e santità di vita.
Ben tre vescovi, già ministri provinciali dell’ordine, figurano tra i figli del convento: Pietro de Pietro, chiamato a sedere sulla cattedra episcopale di Cefalù verso il 1335; Giovanni de Rosa, eletto Vescovo di Mazara nel 1415 dal Papa Giovanni XXII; Ignazio Montemagno, posto alla guida pastorale della diocesi agrigentina nel 1837. Diversi altri religiosi, che rifulsero per le loro singolari virtù, si formarono in seno a questa famiglia di frati. Giacomo Polizzi, Provinciale nel 1548, fu stimato teologo del suo tempo e partecipò al Concilio Tridentino. Al suo ritorno in patria fondò un convento di vita austera, proponendo una nuova regola di stretta osservanza francescana. Padre Baldassarre Paglia, coronato poeta all’età di soli 13 anni, professore di teologia, storia ecclesiastica e filosofia, socio di varie accademie letterarie, fu nominato nel 1704 Vice-segretario generale dell’Ordine, ma fu stroncato da una malattia incurabile a Firenze appena un anno dopo. Gerardo Arcolaci, morto nel 1644, merita di essere ricordato per aver posto mano ad un’imponente opera di restauro e ampliamento del convento e della chiesa, per aver favorito la costruzione del celebre ponte di San Francesco e promosso la proclamazione dell’Immacolata a patrona della Città di Caltagirone.
A causa del disastroso terremoto dell’11 gennaio 1693 i frati ebbero rovine, sia nel convento che nella sontuosa chiesa, non molti anni prima ingrandita e arredata sotto la direzione del p. Gerardo Arcolaci. Nel pomeriggio di quel triste giorno, dopo i primi tremori della terra, i Frati scesi nell’ala del chiostro attigua alla chiesa si disposero a due a due con corone di spine, cordone al collo e piedi scalzi, preceduti dai maestri cannatari, i ceramisti di Caltagirone riuniti nella Confraternita dell’Immacolata, formando una lunga processione; ma ecco sopraggiungere una fortissima scossa, che costrinse i penitenti a fuggire e a disperdersi, mentre le colonne del chiostro vacillavano come li salmartini del cembalo, come le corde di un clavicembalo.
La ricostruzione fu faticosa: per le riparazioni ai locali del cenobio e al ponte seicentesco di San Francesco, voluto dagli stessi frati, furono impiegati migliaia di scudi. Nel 1866, con l’incameramento da parte dello Stato Italiano dei beni posseduti dagli ordini religioso, il convento subì vari passaggi di proprietà e di destinazione. I locali, prima di essere restituiti alle autorità ecclesiastiche, furono trasformati in caserma e in tribunale. Solo nel 1911 l’allora Vescovo di Caltagirone, mons. Damaso Pio De Bono e il pro-sindaco don Luigi Sturzo vi poterono sistemare la Sede Vescovile e il Seminario, affidato sin dal 1905 ai Padri della Missione di San Vincenzo de’ Paoli, esuli di nazionalità francese.

La chiesa di S. Francesco all'Immacolata

La chiesa, sebbene originariamente consacrata a San Michele Arcangelo, assunse il titolo di San Francesco all’Immacolata, dal momento che i Padri Conventuali vi introdussero ed incrementarono le devozioni per il Padre Serafico e per la Vergine Maria sotto il titolo di Immacolata Concezione. In origine di piccole dimensioni, fu ampliata in epoca tardo-medievale assumendo forme gotiche e uno spiccato verticalismo. Avanzi di strutture architettoniche trecentesche restano nei locali adiacenti alla chiesa; la tipologia e la finitura del materiale impiegato, una locale pietra arenaria, caratterizzano anche il portale gotico, esistente nel chiostro attiguo alla chiesa. La chiesa di San Francesco all’Immacolata subì sensibili danni a seguito del tragico terremoto del 1693 ma era già ricostruita nel 1724, anno in cui si rese necessaria la stipula del contratto con Pietro Merita e Antonino Rizzo per l’edificazione della facciata, secondo un primo progetto. Nel 1727 il piano dei lavori fu sottoposto a revisione e affidato a Tommaso Amato e Francesco Battaglia, catanesi, che sostituirono le quattro nicchie con santi francescani, nei partiti laterali della facciata, con altrettanti attributi mariani entro tabelloni a rilievo, quasi a far da corona alla nicchia centrale con la statua dell’Immacolata: in basso, da sinistra, la palma e il cedro; nel secondo ordine, la porta del cielo e la torre di Davide. In alto, nella lunetta campeggia l’emblema francescano con le braccia incrociate di Cristo e San Francesco davanti alla Croce. Il prospetto è giudicato uno fra i più interessanti fra le facciate barocche di Caltagirone; gli architetti si ispirarono, probabilmente, ad esempi palermitani e in particolare alle chiese di S. Domenico e della Pietà, a Palermo. La cupola si articola all’esterno in otto grandi finestroni ed è coronata da una sequenza di sfere in terracotta smaltata. E' sprovvista della calotta e del lanternino che non furono mai realizzati dopo il rovinoso crollo, avvenuto nel corso dei lavori di completamento all’imbrunire del 24 novembre 1702. Il campanile, che svetta agile accanto alla cupola, fu costruito nel 1852 nella sola cella campanaria su progetto dell’architetto caltagironese Salvatore Marino. Fu concepito per accordarsi alla ricchezza ornamentale della facciata, ponendo a coronamento una cuspide, sormontata da un’alta guglia; l’eleganza di questo campanile fu motivo d’ispirazione per l’architetto Ugo Tarchi da Roma, quando nel 1954 progettò il campanile della vicina Cattedrale di San Giuliano. La piazza antistante alla chiesa e al convento, originariamente più acclive, fù abbassata di circa quattro metri per agevolare l’accesso dei frati e dei fedeli, furono realizzati i terrapieni e fu aperta, a sinistra della chiesa, una strada pubblica. Per il verificarsi dell’aurora boreale la sera del 29 marzo 1739, la popolazione, colta da indicibile panico, recò in solenne processione il Patrono San Giacomo sino alla piazza di S. Francesco d’Assisi, dinanzi alla parte del cielo che secondo il comune sentire, minacciava un’imminente pioggia di fuoco. All’interno della chiesa si osservano pregevoli lavori artistici opera dei fratelli caltagironesi Giuseppe e Francesco Vaccaro ed un reliquiario di cui scrive il Di Marzo, nella traduzione del Lexicon topographicum: «In quel tempio magnifico molti interi corpi di santi riposano sotto l’arca di ciascuna cappella, e mostrano i frati una reliquia del legno della S. Croce, donativo della Regina Bianca». Vi si trova infine l’angelica statua processionale dell’Immacolata, attribuita a Giuseppe Vaccaro, vestita di ricchi paludamenti ricamati in oro, cui la città da secoli tributa profonda devozione.

La sala "Mons. Nicotra"

E’ l’antico Oratorio della Confraternita dell’Immacolata Concezione costituita nel 1676 dai ceramisti che avevano la propria bottega nei pressi del Convento; era il luogo in cui i confrati potevano svolgere le attività di culto e le celebrazioni liturgiche. In seguito questo spazio venne utilizzato come Parlatorio del Seminario destinato ad ospitare quanti si recavano in visita a chierici e seminaristi. Sulla volta un affresco, incorniciato da stucchi ottocenteschi, raffigura l’Immacolata Concezione che riceve l’omaggio dei quattro continenti rappresentati da figure femminili recanti doni alla Vergine. In fondo, nell’abside che un tempo sormontava il settecentesco altare successivamente trasferito nella cappella funeraria dei confrati, si trova un artistico crocifisso. Posto sotto il catino in cui spiccano stucchi con motivi che richiamano l’arte della decorazione della maiolica, il crocifisso è in terracotta, plastico nella postura del corpo e suggestivo nell’espressione del volto, con la croce rivestita in rame. Nella seconda metà degli anni Cinquanta, veniva completato un intenso intervento di ristrutturazione, con il rivestimento delle pareti in marmo botticino di Trapani bordato con marmo rosso di Sant’Agata. Oggi il Parlatorio dedicato a Mons. Nicotra mantiene la funzione di sala di rappresentanza vescovile ed è spesso utilizzato per incontri e attività formative e seminariali.

 

La cappella del SS. Sacramento ritrovato

Venne realizzata dai frati nella prima metà dell’Ottocento in memoria del miracoloso ritrovamento del SS. Sacramento lungo le scale della Chiesa di San Francesco. Nel dicembre del 1807, infatti, dalla Chiesa di Santa Maria della Stella, nel centro storico della città, venne trafugata la pisside contenente il Corpo di Gesù Sacramentato. Qualche giorno dopo, vigilia di Natale, la pisside con il contenuto intatto venne ritrovato lungo la scalinata della chiesa. La Cappella, visibile dall’esterno per via dell’asimmetria creata nel prospetto principale, venne arricchita di stucchi e di una pavimentazione realizzata con mattonelle in terracotta dipinta. Al suo interno si ammira una statua lignea raffigurante l’Immacolata Concezione rappresentata con un manto dorato, simbolo di luce, ed ai piedi una mezzaluna simbolo del superamento delle tenebre. In alto, nei pennacchi della cupoletta, in figure muliebri sono rappresentate la Fede, la Giustizia, la Carità e la Speranza. Infine, un cartiglio recita un versetto tratto dal Salmo 131 che invita i fedeli ad adorare Dio nel luogo in cui Egli stette: “Adorabimus in loco ubi steterunt pedes eius”.

Il chiostro di San Francesco

Il chiostro, centro attorno a cui si organizzava la vita dei frati e frontiera aperta sulla città nella missione evangelizzatrice, mostra in tutte le sue parti una chiara adesione alla cultura artistica manierista. Elemento fondamentale per comprendere le scelte artistiche dei frati è lo spirito di povertà, inaugurato dallo stesso San Francesco, patriarca dell’ordine: il convento, destinato ad accogliere una famiglia di frati mendicanti, assunse così un aspetto sobrio e rigoroso. L’essenzialità del disegno e dell’ornato trova la sua unica eccezione in corrispondenza delle arcate, decorate nelle chiavi di volta da mascheroni grotteschi. Al centro del chiostro si trovano il pozzo e la fontanetta claustrale, presso la quale i frati, nello spirito di vita comunitaria, facevano le abluzioni del mattino. Il lavabo, murato nell’ala settentrionale del chiostro, era originariamente collocato nell’atrio dove nel 1933 furono edificati il portico e la scalinata d’accesso alla cappella del seminario. A seguito del bombardamento aereo del 1943 fu smontato e ricomposto nel sito attuale. Reca scolpiti, nel cartiglio in alto, la data del 1613 e l’iscrizione «lavabis me et super nive[m] dealbabor» tratta dal Salmo 50, 9: Purificami e sarò più bianco della neve. Tutta la composizione, chiusa da due leggeri ed eleganti balaustri laterali, è di chiara impronta manierista, combinando una serie di elementi architettonici e di motivi all’insegna della modulazione decorativa e dell’eccentricità, secondo la moda del tempo.

Corridoio seicentesco