La sofferenza collettiva e la denuncia del male nell’opera di Raffaele Boselli

17 novembre 2018

L’opera di Raffaele Boselli non suggerisce, subito e a prima vista, tutta la carica di profonda umanità che l’autore sente ed esprime. Ad uno sguardo frettoloso colpisce la leggerezza incantata di un magistero artigianale raffinatissimo e la levità con cui lo scultore dà vita alla inerte argilla, modellando le sue figure ora ieratiche, ora sorridenti, ora cariche di malinconia inconsolabile. Sempre, comunque, abbondano forme e colori così particolari che la tentazione di una lettura “folklorica”, anche se non banalmente “folkloristica”, è sempre in agguato.

L’artista affonda le sue radici in quella lunga tradizione di lavoro artigianale appresa naturalmente e quasi istintivamente in un primo tempo e resa poi, man mano, consapevole per esperienza di studi e di frequentazione di laboratori, assurta, infine, a pieno possesso di tecniche, a sicurezza d’espressione e quindi a somma resa poetica ed artistica. C’è tutto questo nell’opera di RaffaeleBoselli e ci sono le immagini impresse nella memoria delle campagne, dei cascinali, dei volti, dei gesti di quella parte di Sicilia che egli ha custodito nel cuore. C’è, questo è il punto, un sentimento doloroso, e religioso al tempo stesso, della vita. Se così non fosse, se cioè Raffaele Boselli non esprimesse il sentimento drammatico della sofferenza, l’opera sua avrebbe esiti diversi e non trasmetterebbe la medesima forte emozione sia col figurativo che con l’astratto.

La serie dei suoi Presepi e delle Natività ha un ritmo anaforico che, se non guardato nella sua dimensione di linguaggio della sofferenza, potrebbe appunto ingannare e far pensare all’espressione superficiale di una memoria che contempla vecchi mondi dell’infanzia in una stanca, manierata, nostalgia. Nelle case in rovina dove vengono collocate le scene della natività, persino nelle figure degli animali che, se pur raramente, sono presenti nei gruppi, c’è, invece, come il senso misterioso di un dramma, l’attesa non di un evento di salvezza ma di una tragedia violenta che ancora una volta si abbatterà sugli inermi e sui deboli, su coloro che “ non contano” nella storia e che subiscono sempre, quieti e rassegnati, forti - semmai- di una loro ancestrale forza interiore. Il Natale, pertanto, diviene metafora della sofferenza, denuncia della eterna malvagità, contrappunto di un dramma di dolore più che di una festa di gioia.

Dicevo, in esordio, come l’arte di Raffaele Boselli potrebbe trarre in inganno l’osservatore distratto per la sua corriva e provocante dichiarazione popolare. In verità, abbiamo visto, va letta sotto una cifra di religiosità altissima che si esprime come condanna del male o come rassegnazione, non però vile o passiva, di umili che scelgono di non reagire alla violenza. In questo senso l’opera nascosta ed umbratile di questo artista evoca un sentimento profondo di toccante e delicata poesia.

Domenico Pezzinga